QUANDO MILANO ERA PICCADILLY CIRCUS E LE AZIENDE BRILLAVANO
QUANDO MILANO ERA
PICCADILLY CIRCUS
Ti ricordi la “Milano da bere”, la nebbia che nascondeva tutta piazza Duomo tranne i neon pubblicitari di Palazzo Carminati? Nell'immaginario comune, le luci pubblicitarie simbolo di megalopoli sono in Times Square o Piccadilly Circus. Ma in pochi ricordano che, fino all'inizio degli anni Novanta, come rumore al neon Milano aveva pochissimo da invidiare a New York o Londra. Le 'luminose' di Palazzo Carminati – Cora, Candy, Cinzano, Sarti 3 Valletti, quelli del Biancosarti, del VOV e del Cynar, tanto per citare le più note, ma anche Ariston, Aperol e Coca Cola - destavano stupore e ammirazione tanto quanto la cattedrale per chi arrivava per la prima volta in Milano
Figlia del boom economico di fine anni Cinquanta, l'avanzata pubblicitaria a Milano fu inesorabile e potente come in poche altre città europee; qui c'erano le agenzie, le idee, le competenze e tutto ciò che, mutuato dagli Stati Uniti, poteva trasformare lo spazio pubblico, anche storico, in veicolo comunicativo efficace. Chi non ricorda, ne Il ragazzo di campagna, la carrellata di schermi che accoglie lo spaesato Renato Pozzetto? Qui puoi vedere le insegne al neon , tutte aziende Italiane tranne Coca Cola.
Guarda qui quanti marchi Italiani venivano pubblicizzati e
quanti imprenditori, quasi tutti a carattere familiare, venivano rappresentati
da questi marchi. Mentre a distanza
di 40 anni, il marchio e l’azienda Coca Cola è rimasta immutata, quanti di quei
marchi italiani, quanti di quegli imprenditori sono rimasti? Ma soprattutto quanti eredi di quegli
imprenditori sono stati capaci di portare avanti l’azienda di famiglia? A
guardare quella foto sembrerebbe, anzi possiamo dire, nessuno.Ti ricordi la “Milano da bere”, la nebbia che nascondeva tutta piazza Duomo tranne i neon pubblicitari di Palazzo Carminati? Nell'immaginario comune, le luci pubblicitarie simbolo di megalopoli sono in Times Square o Piccadilly Circus. Ma in pochi ricordano che, fino all'inizio degli anni Novanta, come rumore al neon Milano aveva pochissimo da invidiare a New York o Londra. Le 'luminose' di Palazzo Carminati – Cora, Candy, Cinzano, Sarti 3 Valletti, quelli del Biancosarti, del VOV e del Cynar, tanto per citare le più note, ma anche Ariston, Aperol e Coca Cola - destavano stupore e ammirazione tanto quanto la cattedrale per chi arrivava per la prima volta in Milano
Figlia del boom economico di fine anni Cinquanta, l'avanzata pubblicitaria a Milano fu inesorabile e potente come in poche altre città europee; qui c'erano le agenzie, le idee, le competenze e tutto ciò che, mutuato dagli Stati Uniti, poteva trasformare lo spazio pubblico, anche storico, in veicolo comunicativo efficace. Chi non ricorda, ne Il ragazzo di campagna, la carrellata di schermi che accoglie lo spaesato Renato Pozzetto? Qui puoi vedere le insegne al neon , tutte aziende Italiane tranne Coca Cola.
Cora è fallita nel
1984.
la Cinzano appartiene
dal 1999 alla Campari.
La Candy da poco è
diventata cinese.
La Sart 3 Valletti
con la scomparsa di
Amedeo Dalle Molle (1971) e con l'insorgere di problematiche familiari che
conducono alla scissione delle quote societarie, agli inizi degli anni Ottanta
Angelo e Mario Dalle Molle cedono l'Azienda all'olandese Ervin Lucas Bols. Dal 1995,
il Biancosarti è prodotto e distribuito dal Gruppo
Campari
Aperol, creato nel 1919 a Padova dai fratelli Barbieri, dal
2003 è di proprietà del Gruppo Campari.
Cosa sta rimanendo del genio, della maestria e dell’inventiva
dei vecchi imprenditori Italiani? Poco o nulla. C’è qualcosa che non è andato e
ancora non va nel passaggio generazionale. Secondo l’indagine annuale
Mediobanca e Unioncamere il passaggio generazionale è ancora troppo ingessato e
mette a rischio la sopravvivenza delle aziende familiari. Infatti:
1)
le resistenze dei fondatori e la difficoltà a trovare
competenze nell’ambito familiare sono la causa per il 46% di casi.
2)
Modesta apertura a manager esterni nel 70% dei casi.
3)
I fondatori non hanno nessuna intenzione di “mollare” (1
impresa su 4 ha un presidente over 70)
4)
Mancata pianificazione del patrimonio familiare, solo nel 2%
dei casi.
Secondo Banca D’Italia 2/3 delle aziende non arriva alla
seconda generazione e solo il 15% alla terza.
E allora possiamo pure ascoltare le solite scuse, tipo: è
colpa della recessione, della globalizzazione, della elevata tassazione fiscale
o delle banche che riducono il credito o peggio è la Borsa che non funziona.
Però scopri alla fine che il vero valore, il fattore di successo
indistinguibile e insostituibile è il CAPITALE UMANO, lo SPIRITO
IMPRENDITORIALE. Quello o ce l’hai o non ce l’hai. Non si trasmette con il DNA.
Molti dei figli che hanno ereditato le aziende di cui sopra non lo hanno avuto
e a nulla è valso studiare alla Bocconi e conseguire l’MBA.
I 4 punti sopra elencati sono i principali responsabili di
questo insieme alle annose e comuni liti familiari che a volte raggiungono
livelli di faide interne portano alla distruzione di valore ma soprattutto alla
distruzione di quel CAPITALE UMANO fondamentale per la salvaguardia del
patrimonio familiare.
Ecco come da un’immagine di pochi decenni fa possiamo
dipingere quanto il tessuto imprenditoriale Italiano sia cambiato e cambierà
ancora a vantaggio di manager esterni competenti, non per forza italiani, se
non si inizia a pensare ad un serio e consapevole passaggio generazionale in
azienda.
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