Il denaro, così come la salute o gli affetti, suscita forti emozioni
comportamenti degli operatori sui mercati finanziari internazionali, valorizzando una prospettiva psicologica. Analizzando l’evoluzione dei mercati si evince che il comportamento delle persone (professionisti e non) sia lontano dalla razionalità. Questo comportamento fa sì che i mercati finanziari siano tutt’altro che “efficienti”, come invece sostiene la teoria del Random Walk. La finanza comportamentale, sviluppatasi negli anni ’70, portata avanti da diversi studiosi quali Daniel Kahneman, Amos Tversky e Richard Thaler, è un modo per superare la rigidità di questa teoria e per cercare di spiegare i fenomeni reali che si verificano sui mercati finanziari. Sulla base degli studi della Behavioural Finance, la maggioranza degli operatori nel tempo tende a sovrastimare le proprie capacità, mettendo in pratica scelte irrazionali le quali sono influenzate dai movimenti di breve termine dei prezzi. Analizzando ad esempio i flussi di cassa dei fondi comuni italiani, si nota la tendenza dei risparmiatori a sbagliare il “timing” negli investimenti: i capitali entrano nei fondi azionari dopo che questi hanno registrato performance significative poi confluiscono verso i fondi obbligazionari dopo che i mercati azionari sono andati particolarmente male. I risparmiatori si fanno guidare dai rendimenti passati per prendere le decisioni sui loro investimenti, sono convinti che se il mercato è cresciuto, continuerà a crescere. I mass-media giocano un ruolo fondamentale. Infatti, diversi studiosi hanno identificato nell’incertezza e nell’insicurezza le molle che spingono l’investitore a cercare notizie sulle prospettive dei mercati finanziari da altri soggetti, come giornali e televisione, non potendo però verificarne esattezza e affidabilità. Per gli investitori è quindi più importante cosa viene detto di chi lo dice. Facendo un’analisi storica delle principali bolle finanziarie è evidente che un comportamento unidirezionale della massa d’investitori ha portato a forti rialzi e successivi forti ribassi. Le conseguenze di questo comportamento a livello di performance sono enormi. Prendiamo ad esempio i fondi azionari Usa. Dal 1984 al 2002 l’indice S&P 500 è cresciuto del 793%, il 12,2% su base annua, mentre il rendimento dell’investitore in fondi medio è stato solo del 62,2% ossia il 2,6% su base annua. Se ne deduce che il rendimento dipende molto più dal comportamento dell’investitore che dall’andamento dei fondi o dei mercati (dati “sentimentcharts”). Non possiamo cancellare le nostre emozioni. Ma ragionare in un’ottica di lungo periodo può essere un modo per attenuarle.
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